IL BAMBINO E IL FALCO, di Mario Campanini

Il bambino e il falco

Illustrazione di Eugenio Bausola

Il maestro li aveva portati in visita al museo di scienze naturali. Aveva attraversato con loro le ampie sale parlando di quegli animali affascinanti, descrivendone il modo di vivere, le caratteristiche morfologiche e soffermandosi sul ruolo di ciascuno nell’intricata trama della storia naturale.

Occhi sgranati avevano seguito il suo discorso, passando continuamente dal suo volto a quelle pellicce, corna, artigli e fauci spalancate. Occhi che esprimevano ora meraviglia, ora inquietudine, ora curiosità.

All’uscita dal museo un vivace cicaleccio percorreva la fila di bambini ed il maestro era bersagliato di domande di ogni tipo, tanto che raccolse la classe sul sagrato della Basilica che sorgeva lì vicino per poter soddisfare, almeno in parte, la loro inesauribile curiosità.

In quel momento i rintocchi del campanile della Basilica attirarono al cielo gli sguardi di tutti. Imponente, a ridosso del campanile, svettava la sagoma slanciata della cupola antonelliana. Altissima e diritta, bucava il cielo azzurro come un dito ammonitore.

L’occhio del maestro, allenato ad osservare il mondo naturale, notò un uccello posato su una delle ringhiere della guglia sommitale della cupola. La sua postura eretta non faceva pensare ad una cornacchia, presente un po’ ovunque nell’ambiente urbano, ma a qualcosa di speciale… Mentre veloci ragionamenti attraversavano la mente del maestro, l’uccello si alzò in volo, librandosi alto nel cielo e rivelando in tal modo altri dettagli per la sua identificazione.

I bambini avevano intuito, dall’atteggiamento attento del maestro, che lassù stava accadendo qualcosa di interessante e già lo stavano assillando con le domande.

“Bambini, lo vedete quell’uccello che volteggia di fianco alla cupola? E’ un falco pellegrino, uno dei più formidabili predatori dei nostri cieli.”

“Un falco? Ma, signor maestro, non vivono solo nei boschi?”

“Gli uccelli rapaci vivono un po’ in tutti gli ambienti. Questo, in particolare, nidificava in origine sulle ripide pareti rocciose. Poi, col tempo, ha imparato a sfruttare gli edifici più alti delle città. E sapete perchè ha colonizzato gli ambienti urbani?”

“Io lo so: per stare al caldo!”

“Ma no! I motivi sono due: primo, in città le prede sono abbondanti. Pensate a quanti piccioni e cornacchie vivono nella nostra città ed il falco pellegrino li caccia assiduamente. Secondo, in città i falchi sono al sicuro dalle fucilate e dai predatori di uova. Sapete, come tutti gli uccelli rapaci anche questa specie è protetta dalla legge ma, purtroppo, ci sono ancora troppi uomini sconsiderati che non esitano ad ucciderli o a rubare le loro uova per vendere i pulcini ai falconieri.”

“Chi sono i falconieri, signor maestro?” La risposta rimase nella gola del maestro perchè il falco, sotto gli occhi affascinati del gruppo, si lanciò in una vertiginosa picchiata che gettò nel panico uno stormo di piccioni che volava sopra i tetti. Non fu un attacco ma, probabilmente, un’esibizione territoriale, al termine della quale il falco riprese a volare maestoso intorno alla cupola.

Un bambino, in particolare, era rimasto impietrito ad osservare la scena. Il maestro avvertì l’intensa emozione del suo alunno e in essa colse un interesse che andava alimentato, stimolato.

“Matteo”, disse, “se vuoi, nel pomeriggio torniamo qui. Porteremo il binocolo, così potrai osservare il falco come se fosse vicino a te.”

Matteo non parlò, ma annuì con una luce negli occhi che non lasciava dubbi.

Un seme era stato gettato.

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