IL GECO, di Mario Campanini

Geco

Illustrazione di Eugenio Bausola

Tutte le sere appare lassù, nell’angolo in alto, di fianco alla finestrella. Appiccicato alla parete mette in scena sempre la stessa pantomima: un mezzo giro a destra, un mezzo giro a sinistra, scrolla la zampina posteriore e poi l’altra, come se si sgranchisse le membra. Dopodiché piega la testa e mi guarda con quegli occhioni da gatto che ha fatto le ore piccole, spaccati a metà da una pupilla che pare una crepa.

A quel punto gli parlo e sono sicuro che lui mi ascolta, perché non si muove più finchè sente il suono della mia voce.

La prima volta che ho notato la sua presenza nella mia cella ho provato l’impulso di tirargli una scarpa e farlo secco. Però un pensiero mi ha fermato. Mi sono detto “cazzo! ma sei un morto vivente buttato a marcire in solitudine in una cella e l’unica presenza viva disposta a tenerti compagnia la vuoi eliminare?”. E così, invece di spiaccicarlo, l’ho osservato per un po’ e poi ho cominciato a parlargli.

Da allora tutte le sere l’ho fatto e lui non ha mai mancato un appuntamento. Mi guarda mentre parlo e a volte pare che annuisca.

Ho chiesto allo psicologo del carcere (ma dovrei dire casa circondariale!) di dirmi il nome di quella bestiola. “E’ un geco” ha risposto lui, “piccola lucertola notturna che si nutre di insetti, innocuo. E’ comune nelle regioni mediterranee”.

Non gli ho detto che siamo diventati amici e che gli parlo tutte le sere. A volte gli strizzacervelli interpretano a modo loro… e in un batter d’occhio ti trovi sotto osservazione come se fossi diventato matto.

“…comune nelle regioni mediterranee…”, già… il mare non è lontano da qui.

Io non lo vedo, la mia finestrella è in alto e poi dà su un cortile interno della prigione (ma dovrei dire casa circondariale!), eppure lo sento. Eccome se lo sento!

Ci sono dei giorni in cui la brezza spira dal mare e allora tutta… la casa circondariale si riempie di salmastro, di macchia mediterranea, di onde, di spuma, di sole, di grida di gabbiani… Dio mio com’è dura assaporare tutto questo rimanendo sepolti in una stanza che sa di tomba!

In quei giorni chiedo al mio amico geco di spalancare quei suoi occhioni, che almeno lui lo guardi il mare. E me lo racconti e me lo descriva, affinchè la mia speranza non muoia! Perché è la mia unica salvezza, la speranza. La sola scialuppa che mi tiene a galla e in grado di traghettarmi fino alla libertà…

Qualche tempo fa il direttore della prigione (ma dovrei dire casa circondariale!) ha annunciato ai ‘residenti’ l’avvio di nuove attività e percorsi di sostegno, in affiancamento ai laboratori didattici già inseriti nel programma di recupero psico-sociale dei detenuti. Tra le novità, un ciclo di letture di brani tratti dalla grande letteratura internazionale.

L’adesione è volontaria.

“Dev’essere una palla unica” ho pensato. Però quell’ora passata con altri compagni di pena a leggere libri è pur sempre un’ora sottratta alla solitudine!

Mi sono segnato sulla lista.

Al primo appuntamento non eravamo molto numerosi nella saletta col leggio. Una quindicina al massimo, esclusi i nostri ‘angeli custodi’…

C’era brusio nella saletta finchè non è arrivato il lettore. Che ha ammutolito tutti.

Era un clown, con tanto di naso rosso, trucco e (che stranezza!) vestito con un camice tutto disegnato. Quando alla sera l’ho raccontato al geco anche lui ha assunto un’espressione incredula. Eppure è andata proprio come l’ho raccontata, non ho esagerato o deformato nulla.

Quindici detenuti e un clown si sono fronteggiati per alcuni minuti, annusandosi come cani per rompere il ghiaccio ed uscire dal sogno.

Presentazioni, qualche scambio di battute, le prime risate. Simpatico il tipo e fa parte di un’associazione di dottori clown che vanno in ospedale. Come Patch Adams nel film che ho visto.

Poi la lettura del brano, eseguita con la giusta cadenza e con voce bassa e profonda. Infine i commenti, con reciproci scambi di vedute e riferimenti più o meno espliciti al vissuto di ciascuno di noi.

Il tempo è volato ed i saluti, ci è parso, sono arrivati con troppo anticipo.

L’ho raccontato al mio amico geco, promettendogli di tenerlo aggiornato sugli incontri a venire.

E così è stato. Da quella prima volta gli incontri con il nostro lettore clown si sono susseguiti con cadenza regolare. Adesso guai se saltasse un appuntamento!

I brani che legge toccano temi fondamentali per l’animo umano. E poi ti rendi conto, leggendo, che c’è già qualcuno che ha passato i tuoi stessi guai, che ha già affrontato problemi come i tuoi o si è posto le stesse domande. Nei libri puoi trovare già le risposte, le soluzioni.

Trovo tutto questo confortante, molto confortante.

Alcuni di quei libri rivelati dal nostro lettore sono andato a cercarli nella biblioteca del carcere (già, dovrei dire casa circondariale…) e me li sono letti fino in fondo.

Una sera, mentre raccontavo al mio amico incollato al muro le mie impressioni sull’ultima lettura, una domanda mi è affiorata nella mente: se io avessi letto ‘prima’ tutto questo… questi libri intendo dire… la mia vita avrebbe seguito lo stesso percorso?

Mi è venuto un nodo in gola, che ho cercato di soffocare perché non mi piace piangere, anche se quel clown che ci viene a trovare si commuove spesso e senza vergogna. Lui dice che è un comportamento meravigliosamente umano… ma per me è ancora troppo difficile anche se riconosco che ha ragione lui…

Ovviamente a quella domanda nessuno saprà dare una risposta, men che meno il sottoscritto.

Tanto non posso cancellare il mio passato.

Posso però riprogrammare il mio futuro.

E questa certezza si è consolidata seguendo la voce di quel clown che sa piangere e che per me è l’esempio vivente di come si possa diventare uomini per davvero.

Il mare stasera soffia il suo alito nella mia stanza (dovrei dire cella!).

Il mio amico sul muro mi guarda quieto. L’altro mio amico mi ha stretto la mano stamane, dopo la lettura. Abbiamo riso insieme.

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